Ma le quote condominiali non cadono mai in prescrizione? Alcune considerazioni sui termini.

A seconda della natura della spesa si assiste ad una autonoma prescrizione. In questo contesto è utile individuare il momento preciso in cui comincia a decorrere il termine di prescrizione delle quote condominiali.

La riscossione delle quote condominiali è uno dei principali doveri dell’amministratore di condominio, che ai sensi dell’art. 1129 c.c. è obbligato ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, salvo che l’assemblea dei condòmini non lo dispensi espressamente.

Tale disposizione, che non rientra tra quelle inderogabili, prescrive delle modalità spesso disattese.

Per quanto riguarda la volontà dell’assemblea condominiale di esonerare l’amministratore per adottare un atto di clemenza nei confronti del condomino moroso, è verosimilmente utopistico pensare che i condòmini solventi, presumibilmente all’unanimità, decidano di farsi carico, seppure in via temporanea, dei debiti del moroso, peraltro in assenza di apposite garanzie prestate dal condomino insolvente.

A fronte della mancanza di “dispensa assembleare” di fatto l’amministratore, che senza indugio dovrebbe agire per la riscossione coattiva delle quote insolute, si astiene dall’innescare il procedimento di ingiunzione nei confronti dei condòmini morosi, e ciò ben oltre il termine semestrale di cui all’art. 1129 c.c., differendo addirittura di anni la richiesta del decreto ingiuntivo.

In questi casi, senza entrare nel merito della grave irregolarità del comportamento dell’amministratore, che potrebbe incorrere nella revoca del mandato, ci si domandasse i crediti condominiali siano soggetti o no all’istituto giuridico della prescrizione, o meglio se il trascorrere del tempo e l’inerzia dell’amministratore comportino l’estinzione del diritto del condominio a riscuotere le quote condominiali.

Ebbene, prima di entrare nel merito della questione, è utile rammentare che la prescrizione, disciplinata dagli artt. 2934 – 2963 c.c., si configura come un istituto giuridico a tutela dell’esigenza di certezza nei rapporti giuridici connessi agli effetti del trascorrere del tempo.

La regola generale in materia è dettata dall’art. 2946 c.c., relativamente al c.d. termine ordinario di prescrizione, che si compie con il decorso di dieci anni, anche se in determinate ipotesi il diritto si estingue con il decorso di cinque anni, c.d. termine breve, che si giustifica per la periodicità della prestazione.

In proposito va evidenziato che il legislatore non ha inteso tipizzare alcuna prescrizione delle quote condominiali, neanche con la recente riforma del condominio (L. 220/12).

Basti qui osservare che l’applicazione della prescrizione alle quote condominiali in pratica impedisce all’amministratore di procurarsi dal condomino la necessaria provvista per espletare il mandato conferitogli. E poi l’amministratore assume gli impegni in nome e per contro del condominio, ma tali obblighi sono direttamente riferibili ai singoli condòmini in proporzione delle rispettive quote.

Peraltro, l’art. 1118, comma 2, c.c. statuisce che nessun condomino può sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la conservazione dei beni comuni. Tale obbligazione condominiale è classificata dalla giurisprudenza come obligatio propter rem, (Cass. 12 novembre 1997 n.11152) poiché discendente dalla titolarità del diritto reale sull’immobile (Cass. 21 febbraio 1995 n.1890).

Queste brevi considerazioni sembrerebbero sufficienti a dimostrare che nessun condomino moroso può esimersi dal pagare le quote condominiali, neanche eccependo di non essere stato invitato dall’amministratore ad effettuare i versamenti del dovuto entro un certo termine.

Tuttavia, nel silenzio della legge, un orientamento della Corte di Cassazione ha stabilito che nel caso delle “spese condominiali, per loro natura periodiche, trova applicazione il disposto dell’art. 2948 c.c. n. 4 in ordine alla prescrizione quinquennale dei relativi crediti (Cass. n. 12596/02), la cui decorrenza è da rapportarsi alla data della delibera di approvazione del rendiconto delle spese e del relativo stato di riparto.

Tale delibera, costituisce il titolo di credito nei confronti del singolo condomino” (Ex multis: Cass. n. 4489 del 25 febbraio 2014).

E precisamente, per le spese condominiali fisse, come la pulizia o la manutenzione ordinaria, il termine di prescrizione è quello quinquennale c.d. breve, mentre per quelle di straordinaria manutenzione, che si verificano una tantum, in assenza di differente disposizione legislativa il termine di prescrizione è quello c.d. ordinario, cioè decennale, ai sensi dell’art. 2946 c.c. (Trib. di Roma sentenza n. 18826 del 22 settembre 2015).

Indi si può affermare che in condominio a seconda della natura della spesa si assiste ad una autonoma prescrizione.

In questo contesto è utile individuare il momento preciso in cui comincia a decorrere il termine di prescrizione delle quote condominiali.

Sotto tale profilo, occorre tenere in debita considerazione il disposto dell’articolo 2935 c.c., per il quale “La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.

Al riguardo è condivisibile l’orientamento di quella giurisprudenza che stabilisce come: “L’obbligazione in base alla quale ciascuno dei condomini è tenuto a contribuire alle spese per la conservazione e manutenzione delle parti comuni dell’edificio, qualora la ripartizione delle spese sia avvenuta soltanto con l’approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore, ai sensi dell’art. 1135 n. 3 c. c., sorge soltantodal momento della approvazione della delibera assembleare di ripartizione delle spese; ne consegue che la prescrizione del credito nei confronti di ciascun condomino inizia a decorrere soltanto dalla approvazione della ripartizione delle spese e non dell’esercizio di bilancio” (Cass. n. 11981 del 5 novembre 1992; Giudice di pace Palermo, 15 novembre 2011).

Ergo è pacifico che la prescrizione delle quote condominiali: “decorre dalla delibera di approvazione del rendiconto e dello stato di riparto, costituente il titolo nei confronti del singolo condomino” (Cass. n. 4489 del 25 febbraio 2014).

D’altronde ai sensi e per gli effetti dell’art. 63 Disp. Att. Cod. Civ. è lo stato di ripartizione approvato dall’assemblea che autorizza l’amministratore a richiedere ed ottenere un decreto di ingiunzione per la riscossione dei contributi condominiali, fornendo al giudice copia dei documenti che comprovano la certezza, liquidità ed esigibilità del credito condominiale e cioè: rendiconti e/o preventivi di spese, con i relativi piani di riparto nonché verbale contenente la correlata delibera di approvazione.

Per quanto riguarda, invece, le cause interruttive tipiche della prescrizione regolate dall’art. 2943 c.c., si osserva che in condominio il termine può essere interrotto dall’amministratore sia con la notificazione del decreto ingiuntivo sia con ogni altro atto che valga a costituire in mora il condomino debitore, come ad esempio un mero sollecito di pagamento.

Ecco perché è necessario che l’amministratore si adoperi quantomeno a spedire al condomino moroso una missiva, a mezzo raccomandata, fax o posta elettronica certificata, con richiesta di pagamento di tutte le quote condominiali scadute, prospettandogli in mancanza l’avvio della procedura di riscossione forzata.

Con riferimento alla delibera condominiale, che approva il piano di riparto, è fondamentale approfondire la tempistica e l’efficacia di tale approvazione da parte dell’assemblea.

Preposto che le attribuzioni dell’assemblea condominiale, ai sensi dell’art. 1135 commi 2/3 c.c., sono limitate all’approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore e del preventivo delle spese occorrenti durante l’anno.

Resta un obbligo dell’amministratore, ai sensi dell’art. 1130 c.c., convocare l’assemblea annualmente per l’approvazione del rendiconto condominiale, talché l’omessa convocazione della stessa assemblea, ai sensi dell’art. 1129 c.c., configura di per sé un motivo di revoca del mandato.

Ma se i condòmini non chiedono la revoca dell’amministratore, di fatto approvano il suo operato e in assenza di sfiducia da parte dell’assemblea lo stesso amministratore continua ad esercitare i suoi pieni poteri in condominio.

Di conseguenza nulla osta a che l’amministratore, dopo la sua inerzia pluriennale ed entro il termine di prescrizione delle spese condominiali, possa convocare l’assemblea per l’approvazione di un nuovo stato di riparto, comprensivo di tutte le quote scadute pregresse dovute dai condòmini.

Pertanto lo stato di riparto delle spese predisposto dall’amministratore, con il riepilogo contabile di debiti e crediti “pluriennali”, a seguito dell’approvazione da parte dell’assemblea condominiale diventa un atto proprio del condominio, con la conseguente obbligatorietà e la possibilità di ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo per la riscossione dei crediti condominiali, anche di quelli antecedenti all’ultimo anno di gestione.

Ne consegue così che i saldi degli esercizi precedenti rientrino a far parte integrante di quel rendiconto che, se contestato dal singolo condomino, dovrà essere impugnato nei termini di cui all’articolo 1137 c.c.” (Corte d’Appello di Genova 11 maggio 2009 n. 513).

In proposito “la deliberazione dell’assemblea condominiale che approva il rendiconto annuale dell’amministratore può essere impugnata dai condomini assenti e dissenzienti nel termine stabilito dall’art. 1137 c.c., comma 3 non per ragioni di merito, masolo per ragioni di mera legittimità” (Cass. n. 5254 del 4 marzo 2011).

Infatti “il sindacato dell’autorità giudiziaria sulle delibere delle assemblee condominiali non può estendersi alla valutazione del merito ed al controllo del potere discrezionale che l’assemblea esercita quale organo sovrano della volontà dei condomini” (Cass. n. 5889 del 20 aprile 2001).

Dunque il termine di prescrizione delle quote condominiali si rinnova ad ogni approvazione dello stato di riparto da parte dell’assemblea condominiale, con la conseguenza che i saldi dovuti dai condòmini si cristallizzano nel tempo, incluse le morosità pregresse, e diventando esigibili in ogni tempo.

In altre parole l’interruzione della prescrizione si attiva illimitatamente e il credito si conserva all’infinito.

È ovvio che il termine di prescrizione del debito condominiale non può essere confuso con il termine semestrale di cui all’art. 1129 c.c. in quanto la ratio specifica di tale previsione non è altro che quella di velocizzare e incentivare l’azione da parte dell’amministratore.

Corollario per cui se l’amministratore si rifiuta di agire nel termine semestrale di cui all’art. 1129 c.c. facendo anche decorrere il termine prescrizionale delle quote condominiali, che comincia dall’ultima approvazione assembleare del riparto spese, sarà civilmente responsabile nei confronti del condominio per il pregiudizio economico arrecato e potrà essere citato in giudizio per risarcimento del danno.

Avv. Michele Orefice

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